La favola de’ tre gobbi, libretto, Venezia, Tevernin, 1753

 che in amor non conoscete
 altra legge che l’amor!
 
375   Ancor io sarei felice,
 se potessi all’idol mio
 palesar, come a voi lice,
 il desio di questo cor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 VALENTINIANO
 Ezio sappia ch’io bramo
380seco parlar, che qui l’attendo. (Ad una comparsa che ricevuto l’ordine parte) Amico,
 comincia ad adombrarmi
 la gloria di costui; ciascun mi parla
 delle conquiste sue; Roma lo chiama
 il suo liberatore; egli sé stesso
385troppo conosce. Assicurarmi io deggio
 della sua fedeltà. Voglio d’Onoria
 al talamo innalzarlo, acciò che sia
 suo premio il nodo e sicurezza mia.
 MASSIMO
 Veramente per lui giunge all’eccesso
390l’idolatria del volgo; omai si scorda
 quasi del suo sovrano.
 E un suo cenno potria...
 Basta, credo che sia
 Ezio fedele e ’l dubitarne è vano.
395Se però tal non fosse, a me parrebbe
 mal sicuro riparo
 tanto innalzarlo.
 VALENTINIANO
                                 Un sì gran dono ammorza
 l’ambizion d’un’alma.
 MASSIMO
                                           Anzi l’accende.
 Quando è vasto l’incendio, è l’onda istessa
400alimento alla fiamma.
 VALENTINIANO
                                           E come io spero
 sicurezza miglior? Vuoi ch’io m’impegni
 su l’orme de’ tiranni, e ch’io divenga
 all’odio universale oggetto e segno?
 MASSIMO
 La prima arte del regno
405è il soffrir l’odio altrui. Giova al regnante
 più l’odio che l’amor. Con chi l’offende
 ha più ragion d’esercitar l’impero.
 VALENTINIANO
 Massimo, non è vero.
 Chi fa troppo temersi
410teme l’altrui timor. Tutti gli estremi
 confinano fra loro. Un dì potrebbe
 il volgo contumace
 per soverchio timor rendersi audace.
 MASSIMO
 Signor, meglio d’ogni altro
415sai l’arte di regnare. Hanno i monarchi
 un lume ignoto a noi. Parlai finora
 per zelo sol del tuo riposo; e volli
 rammentar che si deve
 ad un periglio opporsi, infin ch’è lieve.
 
420   Se povero il ruscello
 mormora lento e basso,
 un ramoscello, un sasso
 quasi arrestar lo fa.
 
    Ma se alle sponde poi
425gonfio d’umor sovrasta,
 argine oppor non basta;
 e co’ ripari suoi
 torbido al mar sen va. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 VALENTINIANO, poi EZIO
 
 VALENTINIANO
 Del ciel felice dono
430sembra il regno a chi sta lunge dal trono;
 ma sembra il trono istesso
 dono infelice a chi gli sta dappresso.
 EZIO
 Eccomi al cenno tuo.
 VALENTINIANO
                                        Duce, un momento
 non posso tollerar d’esserti ingrato.
435Il Tebro vendicato,
 la mia grandezza, il mio riposo e tutto
 del senno tuo, del tuo valore è frutto.
 Se prodigo ti sono
 anche del soglio mio, rendo e non dono.
440Onde in tanta ricchezza, allor che bramo
 ricompensare un vincitore amico,
 trovo, chi ’l crederia? ch’io son mendico.
 EZIO
 Signor, quando fra l’armi
 a pro di Roma, a pro di te sudai,
445nell’opra istessa io la mercé trovai.
 Che mi resta a bramar? L’amor d’Augusto
 quando ottener poss’io,
 basta questo al mio cor.
 VALENTINIANO
                                              Non basta al mio.
 Vo’ che ’l mondo conosca
450che se premiarti appieno
 Cesare non poté, tentollo almeno.
 Ezio, il cesareo sangue
 s’unisca al tuo. D’affetto
 darti pegno maggior non posso mai.
455Sposo d’Onoria al nuovo dì sarai.
 EZIO
 (Che ascolto!)
 VALENTINIANO
                             Non rispondi?
 EZIO
                                                          Onor sì grande
 mi sorprende a ragion. D’Onoria il grado
 chiede un re, chiede un trono;
 ed io regni non ho, suddito io sono.
 VALENTINIANO
460Ma un suddito tuo pari
 è maggior d’ogni re. Se non possiedi,
 tu doni i regni; e ’l possedergli è caso;
 il donargli è virtù.
 EZIO
                                    La tua germana,
 signor, deve alla terra
465progenie di monarchi; e meco unita
 vassalli produrrà. Sai che con questi
 ineguali imenei
 ella a me scende, io non m’innalzo a lei.
 VALENTINIANO
 Il mondo e la germana
470nell’illustre imeneo punto non perde.
 E se perdesse ancor, quando all’imprese
 d’un eroe corrispondo,
 non può lagnarsi e la germana e ’l mondo.
 EZIO
 No, consentir non deggio
475che comparisca Augusto,
 per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.
 VALENTINIANO
 Duce, fra noi si parli
 con franchezza una volta. Il tuo rispetto
 è un pretesto al rifiuto. Alfin che brami?
480Forse è piccolo il dono? O vuoi per sempre
 Cesare debitor? Superbo al paro
 di chi troppo richiede
 è colui che ricusa ogni mercede.
 EZIO
 E ben, la tua franchezza
485sia d’esempio alla mia. Signor, tu credi
 premiarmi e mi punisci.
 VALENTINIANO
                                                Io non sapea
 che a te fosse castigo
 una sposa germana al tuo regnante.
 EZIO
 Non è gran premio a chi d’un’altra è amante.
 VALENTINIANO
490Dov’è questa beltà che tanto indietro
 lascia il merto d’Onoria? È a me soggetta?
 Onora i regni miei? Stringer vogl’io
 queste illustri catene.
 Spiegami il nome suo.
 EZIO
                                            Fulvia è il mio bene.
 VALENTINIANO
495Fulvia!
 EZIO
                 Appunto. (Si turba).
 VALENTINIANO
                                                        (Oh sorte!) Ed ella
 sa l’amor tuo?
 EZIO
                             Nol credo.
 (Contro lei non s’irriti).
 VALENTINIANO
                                              Il suo consenso
 prima ottener proccura;
 vedi se tel contrasta.
 EZIO
500Quello sarà mia cura, il tuo mi basta.
 VALENTINIANO
 Ma potrebbe altro amante
 ragione aver sopra gli affetti suoi.
 EZIO
 Dubitarne non puoi. Dov’è chi ardisca
 involar temerario una mercede
505alla man che da Roma il giogo scosse?
 Costui non veggo.
 VALENTINIANO
                                   E se costui vi fosse?
 EZIO
 Vedria ch’Ezio difende
 gli affetti suoi come gl’imperi altrui;
 temer dovrebbe...
 VALENTINIANO
                                    E se foss’io costui?
 EZIO
510Saria più grande il dono,
 se costasse uno sforzo al cor d’Augusto.
 VALENTINIANO
 Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
 uno sforzo in mercede.
 EZIO
 Ma Cesare è il sovrano, Ezio lo chiede,
515Ezio che fin ad ora
 senza premio servì, Cesare a cui
 è noto il suo dover, che i suoi riposi
 sa che gode per me, che al voler mio,
 quando il soglio abbandona,
520sa che rende, e non dona, e che un momento
 non prova fortunato
 per tema sol di comparirmi ingrato.
 VALENTINIANO
 (Temerario!) Credea
 nel rammentare io stesso i merti tuoi
525di scemartene il peso.
 EZIO
                                           Io gli rammento,
 quando in premio pretendo...
 VALENTINIANO
 Non più. Dicesti assai; tutto comprendo.
 
    So chi t’accese;
 basta per ora.
530Cesare intese;
 risolverà.
 
    Ma tu proccura
 d’esser più saggio.
 Fra l’armi e l’ire
535giova il coraggio;
 pompa d’ardire
 qui non si fa. (Parte)
 
 SCENA X
 
 EZIO e poi FULVIA
 
 EZIO
 Vedrem se ardisce ancora
 d’opporsi all’amor mio.
 FULVIA
                                             Ti leggo in volto,
540Ezio, l’ire del cor. Forse ad Augusto
 ragionasti di me?
 EZIO
                                   Sì, ma celai
 a lui che m’ami, onde temer non dei.
 FULVIA
 Che disse alla richiesta? E che rispose?
 EZIO
 Non cedé, non s’oppose;
545si turbò, me n’avvidi a qualche segno;
 ma non osò di palesar lo sdegno.
 FULVIA
 Questo è il peggior presagio. A vendicarsi
 cauto le vie disegna
 chi ha ragion di sdegnarsi e non si sdegna.
 EZIO
550Troppo timida sei.
 
 SCENA XI
 
 ONORIA e detti
 
 ONORIA
 Ezio, gli obblighi miei
 sono immensi con te. Volle il germano
 avvilir la mia mano
 sino alla tua; ma tu però più giusto
555d’esserne indegno hai persuaso Augusto.
 EZIO
 No, l’obbligo d’Onoria
 questo non è. L’obbligo grande è quello
 ch’io fui cagion nel conservarle il soglio
 ch’or mi possa parlar con quest’orgoglio.
 ONORIA
560È ver, ti deggio assai, perciò mi spiace
 che ad onta mia mi rendano le stelle
 al tuo amore infelice
 di funeste novelle apportatrice.
 Fulvia, ti vuol sua sposa (A Fulvia)
565Cesare al nuovo dì.
 FULVIA
                                      Come?
 EZIO
                                                      Che sento!
 ONORIA
 Di recartene il cenno
 egl’istesso or m’impose. Ezio, dovresti
 consolartene alfin; veder soggetto
 tutto il mondo al suo ben pure è diletto.
 EZIO
570Ah questo è troppo! A troppo gran cimento
 d’Ezio la fedeltà Cesare espone.
 Qual dritto, qual ragione
 ha sugli affetti miei? Fulvia rapirmi?
 Disprezzarmi così? Forse pretende
575ch’io lo sopporti? O pure
 vuol che Roma si faccia
 di tragedie per lui scena funesta?
 ONORIA
 Ezio minaccia e la sua fede è questa?
 EZIO
 
    Se fedele mi brama il regnante,
580non offenda quest’anima amante
 nella parte più viva del cor.
 
   Non si lagni se in tanta sventura
 un vassallo non serba misura,
 se il rispetto diventa furor. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 ONORIA e FULVIA
 
 FULVIA
585A Cesare nascondi,
 Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele.
 Parla così da disperato amante.
 ONORIA
 Mostri, Fulvia, al sembiante
 troppa pietà per lui, troppo timore.
590Fosse mai la pietà segno d’amore?
 FULVIA
 Principessa, m’offendi. Assai conosco
 a chi deggio l’affetto.
 ONORIA
 Non ti sdegnar così, questo è un sospetto.
 FULVIA
 Se prestar si dovesse
595tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
 dubitar ne faria. Da’ sdegni tuoi
 come soffri un rifiuto anch’io m’avvedo,
 dovrei crederti amante e pur nol credo.
 ONORIA
 Anch’io, quando m’oltraggi
600con un sospetto al fasto mio nemico,
 dovrei dirti arrogante; e pur nol dico.
 
    Ancor non premi il soglio
 e già nel tuo sembiante
 sollecito l’orgoglio
605comincia a comparir.
 
    Così tu mi rammenti
 che i fortunati eventi
 son più d’ogni sventura
 difficili a soffrir. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 FULVIA sola
 
 FULVIA
610Via, per mio danno aduna,
 o barbara fortuna,
 sempre nuovi disastri. Onoria irrita,
 rendi Augusto geloso, Ezio infelice,
 toglimi il padre ancor. Toglier giammai
615l’amor non mi potrai, che a tuo dispetto
 sarà per questo core
 trionfo di costanza il tuo rigore.
 
    Finché un zeffiro soave
 tien del mar l’ira placata,
620ogni nave è fortunata,
 è felice ogni nocchier;
 
    è ben prova di coraggio
 incontrar l’onde funeste,
 navigar fra le tempeste
625e non perdere il sentier.
 
 Fine dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
  Orti palatini corrispondenti agli appartamenti imperiali con viali, spalliere di fiori e fontane continuate; in fondo caduta d’acque e innanzi grotteschi e statue.
 
 MASSIMO e poi FULVIA
 
 MASSIMO
 Qual silenzio è mai questo! È tutto in pace
 l’imperiale albergo; in Oriente
 rosseggia il nuovo giorno;
 e pur ancor d’intorno
630suon di voci non odo, alcun non miro.
 Dovrebbe pure Emilio
 aver compito il colpo. Ei mi promise
 nel tiranno punir tutti i miei torti
 e pigro...
 FULVIA
                    Ah genitor!
 MASSIMO
                                           Figlia, che porti?
 FULVIA
635Che mai facesti?
 MASSIMO
                                  Io nulla feci.
 FULVIA
                                                           Oh dio!
 Fu Cesare assalito. Io già comprendo
 donde nasce il pensier. Padre, tu sei
 che spingi a vendicarti
 la man che l’assalì.
 MASSIMO
640Ma Cesare morì?
 FULVIA
                                   Pensa a salvarti.
 Già di guerrieri e d’armi
 tutto il soggiorno è cinto.
 MASSIMO
 Dimmi se vive o se rimase estinto.
 FULVIA
 Nol so; nulla di certo
645compresi nel timor.
 MASSIMO
                                       Sei pur codarda.
 Vado a chiederlo io stesso. (In atto di partire, s’incontra in Valentiniano)
 
 SCENA II
 
 VALENTINIANO senza manto e senza lauro, con ispada nuda e seguito di pretoriani, e detti
 
 VALENTINIANO
 Ogni via custodite ed ogni ingresso. (Parlando ad alcuni soldati che partono)
 MASSIMO
 (Egli vive! Oh destin!)
 VALENTINIANO
                                            Massimo, Fulvia,
 chi creduto l’avria?
 MASSIMO
                                      Signor, che avvenne?
 VALENTINIANO
650Ah maggior fellonia mai non s’intese!
 FULVIA
 (Misero genitor!) (Da sé)
 MASSIMO
                                    (Tutto comprese).
 VALENTINIANO
 Di chi deggio fidarmi? I miei più cari
 m’insidiano la vita.
 MASSIMO